La filosofia contemplativa di Ran Lahav: spunto per alcune riflessioni tormentate in una zona di confine tra Oriente ed Occidente per dialogare.

Questo libro di Ran Lahav “ Manualetto di Filosofia Contemplativa “, Editrice Solfanelli, Chieti, 2014 che Ran Lahav ha presentato in anteprima, durante la sua suggestiva lezione il 18 ottobre 2014 presso la scuola Parresia di Bologna, mi ha fatto riflettere sulla specialità dell’autore e della sua instancabile ricerca filosofica, che, in parte, è anche la mia.

 

Sicuramente la vita ha in se’ più dei sistemi filosofici e delle speculazioni inerenti. La vita spesso ci sorprende e ci travolge con le sue sfuggenti illuminazioni in cui pensiamo talvolta di avere, come d’un tratto, compreso l’essenza del nostro errare in questo mondo..C’è chi li chiama insights, c’è chi, come Lahav, ne parla come bolle di comprensione ..Insomma, come luci della mente che sembrano talvolta venire dal nulla, come frutto di chissà quale percorso interiore accidentato, feroce, leggero, sorprendente. Ma, come afferma l’autore, “La nostra abituale condizione della mente, pragmatica e verbale, non è sufficiente e tende a soffocare quelle delicate bolle di comprensione. In altre parole, dobbiamo contemplare1.

Ma che vuol dire contemplare? Spesso, nella scuola Parresia di Bologna che ho l’onore di dirigere, propongo agli allievi alcuni esercizi della filosofia antica (Epicuro, Marco Aurelio, Plotino, Seneca, etc…)2 per creare delle abitudini positive del pensiero atte talvolta ad operare una trasformazione del soggetto, affinché esso non si fermi ai pre-giudizi, ma aiuti a vedere la realtà da tanti, diversissimi punti di vista. Sono questi esercizi spirituali esercizi di filosofia contemplativa? Cita Wikipedia: “Le parole "contemplazione" e "meditazione" talvolta hanno significato diametralmente opposto a seconda che compaiano in un contesto occidentale o orientale. In Occidente la contemplazione è intesa solitamente come un rivolgere la mente (svuotata di ogni altro contenuto) a Dio (nel Cristianesimo) o al bene (nel neoplatonismo), laddove la meditazione può richiedere un preciso esercizio mentale volto alla visualizzazione di una scena religiosa o alla riflessione su di un passaggio biblico. In Oriente il significato dei due termini è capovolto”. Commento personale: eccessivamente semplificatorio. Gli esercizi spirituali dei filosofi antichi – da me utilizzati - sono veri e propri esercizi di contemplazione intesi come sedimentazione attenta di pensieri che vagano sopra di noi o dentro di noi come fossero lucciole a volte visibili a volte luminose, spesso inafferrabili, ma che tali esercizi, appunto, rendono afferrabili. Essi stimolano una riflessione e contemplazione sul proprio essere nel mondo ascoltando con maggiore profondità del solito questa “rete universale” in cui siamo immersi. E mi associo a Lahav nel sostenere che contemplare significa proprio pensare con una certa attenzione, cercando di non rinchiudere un argomento frettolosamente in una idea o in una logica. Significa partire dal proprio magma interiore, evolvere in un’altra dimensione intellettuale in cui il pensiero non è ingabbiato, ma vola senza fermarsi, perché il nostro essere è in continuo divenire e quel pensiero contemplativo deve accordarsi con questo nostro profondo e fluttuante modo di essere. Insomma, come dice Lahav, “un percorso aperto di ricerca personale”3.La Filosofia Contemplativa - in linea col mito platonico – cerca di coinvolgere la persona nella sua interezza e profonda complessità. A quel punto, non v’è più un radicale confine tra ragione ed emozione, ma si può forse intuire che questo percorso sia esso stesso una sorta di itinerario di confine. Una zona di confine sulla quale acuire – proprio in forza di quella precarietà metafisica - la nostra capacità di cogliere i fenomeni a tutto campo, con grande capacità di penetrarli e farli rivivere in noi. Insomma, si filosofa a partire da se stessi, non più da osservatori esterni e distaccati, ma con modalità di approccio a “quella rete” totalmente aperte per accogliere le svariate voci filosofiche provenienti dal mondo. Può talvolta accadere che più voci filosofiche parlino in noi allo stesso tempo anche se si contraddicono teoricamente a vicenda.

E allora che si fa? Qui Lahav propone un strada intelligente: due voci possono convivere tranquillamente e interagire nei modi più svariati: “ Una comprensione filosofica è come una frase musicale nella sinfonìa della realtà o come la tappa di un dialogo ininterrotto”.4 E’ la complessa sinfonia della realtà umana in cui però il filosofo sa che non tutte le voci sono della stessa natura. E’ orientale allora questo modo di fare speculazione filosofica contemplando la realtà? Pensiamo a J. Krishnamurti5: “Per comprendere qualsiasi cosa [….] che cosa è essenziale? Una mente calma, non è così? Non una mente esclusiva , che cerchi di concentrare: il che, ancora, è uno sforzo per resistere. […] Finché la mente è in conflitto, finché biasima, resiste, condanna,non si potrà capire..[..]Quando una mente è placata, tranquilla,quando non cerca risposte o soluzioni, quando non resiste, né evita, soltanto allora può esservi una rigenerazione,poiché allora la mente è in grado di percepire la verità; ed è la verità che libera , non lo sforzo di essere liberi. Come accogliere il tutto in noi e sentirsi parte dell’Universo? E’ forse questo? E’ stare appunto su quella zona di confine? Ma è solo orientale questa pratica di vita?

Pierre Hadot rivedeva negli esercizi spirituali di alcuni filosofi antichi quali gli stoici, la disposizione di una mente che non si opponeva ad una sorta di immersione, di dilatazione dell’io in un Altro al quale l’io non è estraneo essendone una parte costitutiva. E sicuramente la mente calma gli stoici la valorizzavano, come J. Krishnamurti. E per avere una mente calma gli stoici cercavano di sistemare tutto nella giusta prospettiva, capendo che il nostro essere nel mondo è caratterizzato da una connessione continua di tutte le cose. La realtà, in questo senso, è una mescolanza totale, la rappresentazione di tutte le cose in tutte le cose. E in questa prospettiva di “sguardo cosmico” l’esercizio principale per uno stoico, era appunto quello di riposizionare ogni evento nella prospettiva del tutto avendone una coscienza cosmica, in cui l’uomo non solo riposiziona il suo “io” rispetto al tutto, ma acquisisce una coscienza di quest’ultimo proprio nel suo limite individuale e nel suo essere massimamente accogliente del tutto. E Nietzsche aveva ben compreso questa sensazione: “Raffiguriamoci la terra nell'Universo, entro l'oscura immensità dello spazio. Al suo confronto, essa è come un minuscolo granello di sabbia sulla cui superficie vive un ammasso caotico, confuso e strisciante di animali che si pretendono razionali e che hanno, per un istante, inventato la conoscenza”6. Ed è proprio in questa infinita piccolezza – così come nella mente non esclusiva di J. Krishnamurti , che si inizia a trovare la via per accrescere le proprie conoscenze. E’ la verità consapevole di questa duplice potenzialità – di piccolezza e di infinita potenziale grandezza – che libera l’uomo. Lo sguardo cosmico ha in se’ la capacità di rivelare all’uomo come il suo essere nel mondo sia un punto nel tutto e come, quindi, quanti degli affanni a cui dedichiamo la nostra vita non debbano essere sopravvalutati rispetto le loro reali dimensioni. Da qui importanza dello sguardo cosmico come esercizio spirituale per prepararsi ad affrontare le miserie della vita umana – quali la morte - con serenità. Serenità che si potrà avere solo nel momento in cui l’azione dell’uomo si prospetta conforme all’ordine razionale di tutto il mondo, che conduce l’uomo a scegliere sempre, nell’ottica del Tutto, le cose giuste. Lo sguardo cosmico porta ad osservare gli uomini sulla terra. Lo scrittore satirico Luciano - con il suo dialogo L’Icaromenippo - ovvero l’uomo che s’innalza sopra le nuvole - descrive il cinico Menippeo che racconta come, scoraggiato dalle contraddizioni dei filosofi, sui principi primi dell’universo, abbia deciso di recarsi di persona in cielo per appurare la verità. S’innalza così verso la luna. Lì giunto, vede dall’alto la terra intera e, come lo Zeus di Omero, osserva i paesi ma anche gli uomini, finendo col dire che tutta la vita degli uomini gli era apparsa non solo come nazioni e città, ma come “tutti gli individui”. Tutti individui facenti parte dell’universo.

Quindi è nell’individuo che sta la verità? O meglio, come dice R. Browing7: “ Ma amici, la verità è dentro di noi stessi: essa non sorge dalle cose esteriori, comunque possiate credere. C’è in noi tutti un centro intimissimo, dove la verità abita nella sua pienezza; e intorno, la carne volgare la cinge di tanti muri, racchiudendovi dentro codesta perfetta chiara percezione che è la verità. Una rete carnale, deludente e perversa l’avvolge, causa di ogni errore: e conoscere è piuttosto aprire una via donde lo splendore imprigionato possa sfuggire, che non praticare un’entrata per la luce che si suppone essere al di fuori ”.

Dunque, per aprirsi a questa verità, bisogna abbandonarsi ad essa e avere la mente libera, pronta a raccogliere qualsiasi insight? Ed è forse orientale questo modo di meditare, di contemplare?

Nel Buddismo di Nichiren Daishonin8 troviamo tre tipi di apprendimento, o tre discipline (sangaku): precetti (kai), meditazione (jo), saggezza (e). Concentrandoci sul concetto di meditazione, in questa filosofia, comprendiamo come la meditazione non sia intesa come contemplazione passiva della nostra mente: significa piuttosto osservare la propria mente attraverso la preghiera, attuare cioè una meditazione attenta e concentrata che allinea la nostra vita con l’energia dell’universo permettendoci di superare gli effetti negativi del nostro karma, sconfiggendo i più feroci veleni della nostra esistenza: avidità, collera, stupidità, arroganza… Veleni che ogni pratica filosofica che si possa dire corretta, deve eliminare per potere stabilire un vero dialogo con le altre persone ed il mondo tutto. E si impara anche a cambiare ottica rispetto alla vecchiaia, non più vista come declino, ma come tempo ricco di possibilità da scoprire, esperienze da mettere a frutto, scoperta di risorse latenti da far emergere. Anche in questo caso, una mente inclusiva, un atteggiamento del pensiero poco aperto di certo non appare in sintonia con il pensiero che "..la vita in ogni istante permea l'universo e si manifesta in tutti i fenomeni. Chi si risveglia a questa verità realizza la mutua compenetrazione tra la sua vita e tutti i fenomeni".9

Non pare discostarsi molto da questo tipo di approccio la finalità della Filosofia Contemplativa di Lahav che, a partire dal proprio silenzio interiore, ammette la possibilità di veder prendere corpo una comprensione (propria o altrui), voci filosofiche del mondo che parlano senza curarsi del fatto che siano oggettivamente o universalmente corrette o scorrette. Il richiamo della vita e di tutti i fenomeni ad un dialogo talvolta apparentemente “impossibile”. Ma lo sforzo di compenetrazione ci deve essere perché , sostiene Lahav , “..anche le voci filosofiche teoricamente inammissibili hanno spesso qualcosa d’importante da dirci. Possono illuminare il problema di nuova luce, dar voce a taluni aspetti della nostra personalità esprimere considerazioni o prospettive di un certo rilievo. […] Ciò che conta è quali significati mi lascia intendere, non se sia teoricamente vera o falsa. La verità oggettiva può diventare senz’altro il tema centrale qualora sia la voce della ragione a parlare; e tuttavia quella voce non è che una tra le tante. Non esiste un criterio unico perché si debba prediligere un’idea filosofica, cioè una verità te; ce ne sono molti. .[…] Una parte di me, per esempio, può essere in sintonia con l’etica kantiana mentre un’altra, sollecitata forse da esperienze di tipo diverso, può risuonare come la voce dell’utilitarismo.[…] La Filosofia Contemplativa è un percorso infinito cui non si addicono le affermazioni ultimative o le teorie compiute. […] Questo non significa che io debba cambiare di continuo idea filosofica giacché potrei cogliervi un certo significato profondo lasciando che esso si affermi in me prepotentemente a lungo. La cosa importante è che il nostro atteggiamento filosofico lasci la porta aperta a una continuità dinamica di voci senza puntare ad un’asserzione conclusiva”.[…] Nella Filosofia Contemplativa, concludendo, presto ascolto alla pluralità delle voci filosofiche della realtà umana che fluiscono dentro di me o che mi raggiungono dal di fuori dando voce a un dialogo continuo fra di esse. Durante questo processo, rendo più profonda la mia comprensione filosofica di quella complessa sinfonia che è la realtà umana.”10. Ecco: una sorta di mutua compenetrazione tra la nostra vita e tutti i fenomeni. E’ allora l’unico modo per dialogare veramente? L’unico modo per filosofare nella società veramente e senza pre-giudizi? Se ci pensiamo bene, nel momento in cui si fa un’asserzione si cerca di mettere uno stop al dialogo….Ma anche lo stop è utile al dialogo stesso.

Certo è che tutto ciò che abbiamo detto finora contrasta non poco con la definizione di Wikipedia. Non appare, infatti, netta questa netta differenza tra Oriente e Occidente nella pratica filosofica - che certo si nutre di meditazione e contemplazione - bensì, al contrario, si ravvedono molti punti in comune. E “ la comprensione filosofica di quella complessa sinfonia che è la realtà umana” - sembra una via percorsa anche da filosofi occidentali come Dewey, la cui meditazione filosofica si basa su una concezione dell'esperienza come rapporto continuamente interattivo e interagente tra uomo ed ambiente; un ambiente che accolga le pluralità di opinioni di diversi gruppi in contrasto tra loro, che favorisca – come ogni buona esperienza educativa - lo sviluppo progressivo delle caratteristiche dell'individuo e l’espansione pluralistica delle conoscenze. E anche Dewey si oppone ad una mente inclusiva, tanto che appare critico nei confronti dei sistemi filosofici tradizionali considerati incapaci di scorgere l'interezza della realtà e del mondo, nonché di valutarne con obiettività la sua imperfezione, il suo disordine, la sua irrazionalità. La finalità della filosofia è quella di rinnovare i valori più che di perseguire la conoscenza strutturata di tutto il mondo reale.

Di qui una domanda viene spontanea: c’è spazio per la Verità nella filosofia contemporanea? E nella Filosofia Contemplativa c’è spazio per una sorta di verità? Beh, intanto non esiste un manuale filosofico o un algoritmo che insegni ad “acchiappare” la Verità. Nulla è più distante da Lahav – e anche da me – il raggiungimento di una sorta di verità come "consenso finale", come affermavano i pragmatisti e, in particolare, C.S. Peirce, il quale vedeva la verità come un insieme coerente di credenze, frutto di accurata indagine e di accettazione da parte di una comunità più ampia possibile di ricercatori. Ma fu poi W. James che parlò di verita' al plurale, di universo pluralistico. Per James la verità di un’idea non può essere provata, sicchè appare molto più fruttuoso concentrarsi sul “cash value,” ossia l’utilità, in termini pratici, di una idea. Un’idea è valida se ha relazione con la realtà, se porta benefici tangibili, se è funzionale alla propria vita: “il dipartimento volitivo della nostra natura domina sia il dipartimento razionale sia il dipartimento sensibile; o, in linguaggio più chiaro, la percezione e il pensiero esistono solo in vista della condotta”11. Di più. In una delle sue ultime opere, "Introduzione alla filosofia", chiarisce il concetto di "universo progressista", che si sostanzia di elementi molteplici e indipendenti, indeterminati, liberi e cooperanti, nonchè di forme monistiche, compatte, determinate, vincolate che devono collaborare tra loro per il successo globale. Come voci filosofiche anche discordanti tra loro, ma protese tutte alla grande sinfonìa dell’universo, in cui lo stesso Dio ne è parte congeniale, ma da essere finito, non più da essere onnipotente: una voce pari alle altre voci, una bolla di conoscenza insieme ad altre bolle di conoscenza.

E anche qui non vedo lontananze infinite tra Lahav e il vecchio James che era massimamente distante da una unica concezione di verità per tutti, peraltro assolutamente non inquinata da inni alla infallibilità della scienza (la scienza, per James, non osserva in modo freddo e passivo i fatti naturali, ma li relaziona fra loro non rispettando l'ordine naturale, semplifica il senso dei fenomeni e li prevede) ed emozioni egocentriche. La verità è l’intenzione polifonica in cui si fronteggiano vari sensi, significati.. Ognuno ha qualcosa da dire concorrendo alla comprensione globale del problema.

Personalmente penso che ci siano davvero diversi modi in cui la conoscenza si sviluppa, stili di pensiero distinti, magari non completamente autonomi e in parte sovrapposti. .. Tante voci interiori.. Non si tratta di opporre "interno" a "esterno", Oriente a Occidente. L’importante è che il modo di viverli sia profondo, faccia parte della nostra vita… Ma sono pur sempre tormentata. Tutte queste voci mi confondono e sono anche felice di essere confusa, perché la mia ricerca filosofica non si ferma mai. Non sono d' accordo sull' idea di una verità ultima, a cui, alla fine, la comunità dovrebbe convergere per utilità e per dialogare. Ma ne ritengo sani i principi ispiratori: dal controllo, secondo cui vanno sempre messi alla prova i criteri/indicatori che si usano a quello della fallibilità umana a quello della comunicazione, secondo cui, se si sostiene – dopo infinite ricerche e discussioni - che un'asserzione e' vera, allora di essa non possiamo servirci per discuterla. Principi che rendono praticabile non solo l’indagine, non solo il dialogo su quella indagine, ma ci permettono altresì di intravvedere la zona di confine tra ragionevole e irragionevole non come semplice questione di gusto ossia come insieme dei caratteri estetici soggettivi di un individuo o di un gruppo sociale.

Conclusione? Il mio tormento, in questa zona di confine tra Lahav, gli stoici, Krishnamurti, i pragmatisti, la filosofia buddista e tanto altro, non può farmi giungere ad una conclusione. Ma, di certo, Giovanni Vailati – insieme a Lahav e a tutti i pensatori citati - è per me uno stimolo in più per approfondire certe tematiche. Come Vailati, credo che il superamento delle teorie – specie scientifiche - non comporti la loro distruzione, perché la loro importanza aumenta proprio per il fatto di essere superate. Osserva il pensatore: "Ogni errore ci indica uno scoglio da evitare mentre non ogni scoperta ci indica una via da seguire”12. Il libro di Lahav, però, è una piacevole scoperta ed è una possibile via da seguire nella pratica filosofica.

1 Ibid., p.28

2 Per maggiori dettagli vedasi video su You Tube relativa alla intervista fatta da Ran Lahav a Nicoletta Poli come parte del progetto AGORA (http://www.PhiloPractice.org).

3 Ibid.p.33

4 Ibid. p.38

5 J. Krishnamurti, “ La prima ed ultima libertà”, Roma, Ubaldini Edotore, 1969,pp.110,111

6 Cfr. Nietzsche, Sulla verità la menzogna in senso extramorale, 1873.

7 R. Browing, Paracelso, Carabba, Lanciano, 1917, pp.32-33

8 Nichiren Daishonin (1222-1282) è stato un monaco buddhista giapponese, fondatore del Buddhismo Nichiren, una delle maggiori correnti del Buddhismo giapponese 

9 Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, pag. 3.

10 Ibid.pp.37-39

11 W. James, “La volontà di credere e altri saggi di filosofia popolare (The Will to Believe, and Other Essays in Popular Philosophy”, 1897. Vedasi anche: W. James, Pragmatismo, Aragno Editore, Torino, 2007; W. James, Saggi di Empirismo Radicale, Quodlibet, Macerata, 2009; W. James, Il Significato della Verità. Una Prosecuzione di Pragmatismo, Aragno Editore, Torino, 2010, pp. 209; C.S. Peirce – W. James, Alle Origini del Pragmatismo. Corrispondenza tra C. S. Peirce e W. James, Aragno Editore, 2011; W. James, Un Universo Pluralistico, Ed Marietti.

12Giovanni Vailati, Scritti filosofici, a cura di Giorgio Lanaro, Napoli, Rossi, [1972], p.4.