Disegnare il tempo. Quando parlarne non basta.



Come si disegna il tempo?


Alice guarda compiaciuta il suo disegno: sul lato sinistro del foglio, tenuto in orizzontale, c’è un ghirigoro rosa con un grosso fiocco rosso; al centro una figuretta con due manine a cerchio, un vestitino verde e un grosso fiocco rosso; a destra la stessa figura dall'abito verde, però più grande, e con un grosso fiocco rosso. Accanto alla terza immagine, piccolo e quasi sovrapposto, spicca un altro ghirigoro rosa, con un fiocco, questa volta blu. «Sono io - spiega Alice spingendomi il foglio sotto al naso - io da piccola, io adesso e io quando avrò un bimbo. E sarò una miss, come la mia mamma».

Matteo intanto sventola il suo cartoncino, per non farlo vedere ad Elia, «mi copia sempre!», ma appena mi avvicino lo consegna diligente porgendolo con entrambe le braccia tese. Osservo il suo disegno: una linea verde percorre il foglio tagliandolo in due, sopra spuntano alcune foglie, un fiore e un albero grande quasi quanto tutto il lato verticale. Anche Elia corre a consegnarmi il suo lavoro, ripetendo esattamente lo stesso gesto di Matteo, con le braccia protratte in avanti. Il disegno, quello però non l’ha copiato: un enorme sole giallo e arancione ricopre quasi l’intera superficie della pagina. Gli cade dalle mani e lo raccoglie Sara, la più grande, che me lo porge sotto al suo, dove scorgo un insieme di figure sparse sulla superficie: un dinosauro, una casetta di paglia, un castello, un grattacielo, un aereo e una pizza. «Non è una pizza, è un disco volante!». Riprende il foglio e scrive in stampatello disco volante,di fianco alla pizza. Manca solo Irene, sette anni, ancora seduta per terra, china sul suo pezzo di carta e indaffaratissima. Vedo il suo gomito disegnare strambi arzigogoli nell’aria e sono curiosissima di sapere cosa disegna la sua mano sulla carta. Ha già dipinto almeno tre fogli, ma non ne vedo nessuno, tutti impilati sotto il primo. Mi accosto alla sua sinistra, lei sposta il foglio alla sua destra. Mi avvicino alla sua destra lei si incurva sulla sua opera riportandola a sinistra. Guardo l’orologio.

«Irene, dobbiamo cominciare a mettere via, sono già le 5!». Lei alza la testa sfoggiando un broncio maledettamente dolce, più preoccupata che indispettita: «ancora un po’! Per favore!». «È proprio tardi, dobbiamo andare», mi comunica in labiale Luna, la mia collega, mentre Elia le si aggrappa alla maglietta. Abbiamo allungato la nostra lezione di teatro decisamente troppo. Buffo che il tema tempo abbia fatto volare così il tempo. La lezione di danza olistica doveva essere iniziata già dieci minuti fa e non vorrei scoprire che cos’é proprio litigando con l’insegnante. Ma non posso certo strappare il disegno alla bambina… mi viene un’idea.

«Irene» «Un attimo! Ho detto che il mio disegno del tempo non è finito!» «E il tempo invece? Il tempo che stai disegnando, sei proprio sicura che lui sia finito?» Irene mi guarda perplessa.

Si mordicchia il labbro, percorre con le dita la lunga trama di onde viola che ha tracciato. « No - dice poi guardandomi fisso negli occhi – il tempo non è finito ».

Si alza di scatto, « allora il mio disegno è finito ».

E me lo consegna soddisfatta insieme agli altri fogli, tutti dipinti esattamente nello stesso modo. Io la guardo uscire trotterellando dalla sala e penso che per fortuna non si è accorta dell’inquietante paradosso che ha appena creato: se il disegno non finito è finito perché ciò che rappresenta, il tempo, non è finito, allora in realtà il disegno non è finito, ma se non è finito allora è finito e… L’imponente insegnante di danza olistica spalanca la porta fulminandomi olisticamente con lo sguardo. Recupero velocemente tutti i pennarelli ancora sparsi sul pavimento e scivolo via appuntandomi mentalmente di fare più attenzione al tempo, quando penso al tempo, e promettendomi di evitare, nelle prossime lezioni, ragionamenti che potrebbero condurre i piccoli allievi a una crisi esistenziale prima ancora di aver perso tutti i dentini da latte.


Questa la cronaca della fine di una lezione di teatro a tema Tempo, svolta da me e dalla mia collega del Gruppo Vostok Teatrocon un gruppo di bambini tra i cinque e i nove anni. Il tema è stato estremamente stimolante, sia per noi, che ci siamo divertite e ingegnate a preparare gli esercizi, sia per i bambini. Abbiamo giocato con i ritmi, mimato le ore del giorno, accelerato e rallentato il tempo delle nostre azioni, fatto viaggi nel futuro e nel passato con la fantasia ma la parte forse più interessante è stata proprio la fine, quando abbiamo chiesto di disegnare il tempo. L’indicazione era volontariamente molto generica: non abbiamo domandato di rappresentare passato, presente e futuro, sarebbe stata un’indicazione troppo direttiva e avrebbe implicitamente suggerito di raffigurare tre elementi distinti e in successione (cosa che alcuni hanno fatto ma non tutti). La richiesta era invece di produrre una rappresentazione grafica del tempo, qualsiasi cosa loro intendessero con questa parola. E si sono applicati con una serietà e un impegno che non hanno nulla da invidiare a quelli di molti adulti.

I disegni compiuti sono tutti differenti, molto personali, e indicano oltre che, ovviamente, capacità grafiche eterogenee, una percezione e una consapevolezza del tempo molto diversa da bambino a bambino: c’è chi ne ha scandito momenti precisi, chi ha mappato la propria vita, chi ha scelto un elemento simbolo, chi ha letteralmente disegnato una sensazione. Eppure tutti sono riusciti in qualche modo a svolgere il compito, senza neanche lamentarsi un pochino. Un adulto sarebbe certo riuscito a svolgere l’esercizio, ma forse con qualche difficoltà in più. Infatti, chiedere di rappresentare visivamente il tempo, dopotutto è solo un’altra formulazione della domanda: che cos’è il tempo? Questione che ha messo in difficoltà anche i più grandi pensatori. Se lo chiedeva Agostino1, rispondendosi che lo sapeva solo quando non gli veniva chiesto. E i bambini allora, come fanno a dare così istintivamente una loro interpretazione a quello che anche Aristotele2ritiene esistere in modo oscuro? Forse che non si pongono davvero la domanda? Forse che non la capiscono? Non credo che i bambini si pongano meno domande degli adulti o che le loro capacità linguistiche non siano sufficienti ad affrontarle. Piuttosto è differente il modo in cui si approcciano agli interrogativi: non se li pongono, li vivono. La risposta per loro sta spesso in una sperimentazione diretta, in questo caso il disegno. E proprio il disegno sarà lo strumento attraverso il quale prenderemo in esame l’interrogativo sul tempo. Disegnare il tempo,infatti, non vuol dire solo identificarlo, censirlo e nominarlo, significa piuttosto calarlo nel paradosso: fissarlo, rinchiuderlo in una figura immutabile, annientare quel movimento che ne è stato ritenuto la chiave, immetterlo nello spazio, mischiarlo con lo spazio.

Allora è davvero possibile farlo? Disegnare il tempo è un’illusione? O è una risposta messa in pratica, come quelle dei bambini?

Prenderemo ora in considerazione le rappresentazioni figurate del tempo derivate dalla percezione che ne abbiamo: quegli schemi mentali che guidano le nostre scelte e azioni e scandiscono i ritmi della quotidianità. Ci affacceremo così sugli enigmi della percezione del tempo, analizzando la capacità sinestetica di vedere il tempo nello spazio e scoprendo le potenzialità che essa racchiude. Esamineremo il caso delle persone che Claudia Hammond definisce tempo-spaziali (come potrebbe essere uno dei nostri piccoli teatranti, ma ancora non sveliamo chi), individui che posseggono quest’ultima capacità in modo particolarmente sviluppato.

Affronteremo così il sempre buffo paradosso del contenitore contenuto da ciò che contiene, lo stesso paradosso che ci ha ingenuamente regalato Irene e lo stesso paradosso a cui viene spontaneo pensare, ogniqualvolta sentiamo nello spazio, scorrere il tempo.

 

 

Vedere il tempo nello spazio: tempo percepito, immaginato, visualizzato


È il giorno dell’esame ad avvicinarsi

o sono io che mi avvicino al giorno dell’ esame?3


La risposta a questa domanda rivela non solo il livello di panico prima di un appello, ma anche l’idea del tempo che ci siamo fatti e che guida inevitabilmente le nostre scelte ed azioni: è il futuro a venirci incontro oppure siamo noi ad andare verso di lui percorrendo una linea temporale dalla lunghezza infinita? Quale che sia la risposta, di sicuro una risposta per ciascuno c’è, infatti è inevitabile possedere un proprio, personale, schema mentale del tempo, che rappresenta la percezione che abbiamo di esso. Tale percezione temporale si costruisce attraverso la presenza concomitante di diversi fattori: la memoria, la concentrazione, le emozioni e, sostiene Hammond, il rapporto con lo spazio, in cui se ne trovano le radici4. Tuttavia non è semplice dare una spiegazione soddisfacente del mistero della percezione del tempo: «un processo dinamico forgia sintatticamente e semanticamente la nostra percezione e la nostra memorizzazione del mondo circostante e del nostro esserci e viverci5». Infatti nonostante nell'arco di ventiquattro ore i ritmi circadiani che regolano l’orologio corporeo ci mantengano sincronizzati con il giorno e la notte grazie all’esposizione alla luce del sole, non esiste organo che percepisca i minuti, le ore, il tempo che passa. Eppure il tempo sappiamo misurarlo.

La base materiale della percezione dello scorrere del tempo è neurofisiologica. Si articola al ritmo dei millisecondi6, il tempo richiesto dai segnali nervosi per essere generati, andare dalla periferia al centro del nostro corpo e quindi ritornare alla periferia. Questi processi possono essere più o meno rapidi e risentono dell’effetto di vari fattori: dalla quantità di anfetamine alla presenza di una situazione d’ansia7.«La percezione del tempo è una questione squisitamente corticale8», afferma Boncinelli.Anche Zimbardo, uno dei fondatori della psicologia del tempo contemporanea, mette in risalto la caratteristica della percezione del tempo di essere un processo cognitivo9e dunque, in quanto tale, soggetto alle illusioni cognitive, come il cubo di Necker; ci imbattiamo costantemente tanto in illusioni ottiche quanto in illusioni temporali: la sensazione che il tempo acceleri o rallenti all’improvviso, gli scherzi giocati dalla memoria che rimuove eventi anche importanti o fa ricordare qualcosa di mai accaduto10. Il tempo dunque non è influenzato solo dalle leggi oggettive della fisica formulate da Newton e dagli effetti del sistema di riferimento enunciati da Einstein, ma anche da processi psicologici più soggettivi: i processi cognitivi, lo stato emotivo, il ritmo di vita della comunità di appartenenza. A questi fattori Claudia Hammond aggiunge anche, dandogli una rilevanza di primo piano, lo schema visualeche del tempo, più o meno consapevolmente, ci facciamo. Infatti, tesi di Hammond, che qui sosterremo, è che la percezione del tempo sia una creazione attiva della mente e che dipenda da un forte legame con lo spazio:


Una persona su cinque immagina che i giorni gli anni e persino i secoli si dispieghino secondo disegni precisi davanti all’occhio della mente. La varietà di questi disegni è interessantissima, con i secoli dritti come tessere del domino o i decenni a molla. Che effetto ha tale visione sull’esperienza del tempo?11


Claudia Hammond ha raccolto, infatti, durante il programma radiofonico All in the mind della BBC, le testimonianze della percezione del tempo nello spazio di ottantasei ascoltatori.

L’obbiettivo era riunire i racconti di quelle persone definite tempo-spaziali, che rappresentano circa il 20% della popolazione, per le quali «l’idea di vedere il tempo con l’occhio della mente è perfettamente logica». Per loro il tempo si dispiega nello spazio in modo concreto, visibile e assolutamente personale: ognuno ha una costruzione diversa di un proprio schema temporale, che si costituirebbe durante l’infanzia per poi rimanere invariato tutta la vita. Infatti caratteristiche principali per riconoscere una persona tempo-spaziale sono la precisione e l’automatismo con cui lo schema mentale viene delineato e la sua coerenza, il fatto cioè che esso rimanga invariato nel tempo: anche a distanza di anni, l’individuo spazio-temporale riproporrà la stessa immagine.Questa capacità è considerata una forma di sinestesia, intendendo per sinestesia la condizione patologica per cui sensi diversi «paiono amalgamarsi nel cervello12», come nei primi mesi di vita del bambino13, durante i quali le vari aree del cervello non lavorano ancora separatamente e la percezione del mondo avviene in un’unica immersione sensoriale(i vari sensi non sono ancora nettamente distinti tra loro). Quella dei sinestetici è una vera e propria sindrome, non si tratta di una accentuata sensibilità o di una spiccata vena poetica: non inventano metafore ma vivono sensazioni reali. E altrettanto reali sono le rappresentazioni visuali degli individui spazio-temporali. Racconta Clifford Pope, uno degli intervistati dalla Hammond: «vedo il tempo come se fossi seduto a uno di quei tavoli su cui si dà la colla alla tappezzeria…Comincia vicino alla mia mano destra (il presente) e si dipana verso sinistra…L’antichità non c’è, sta in un rotolo caduto14».Per David Williams, altro partecipante al programma, invece l’anno è «come un’ellissi imperfetta che osservo dall’alto». Tra gli intervistati, spesso i mesi erano le unità di misura temporali che le persone vedevano dispiegarsi nello spazio; due terzi di coloro che si formavano questa visualizzazione hanno descritto un cerchio, un ovale, un anello, mentre una minoranza vedeva onde o una spirale. C’è poi chi visualizza il tempo di fronte, chi tridimensionale o attorno a sé. La circolarità è un elemento ricorrente in queste descrizioni, questo potrebbe rimarcare l’influenza dei modi tradizionali di organizzare il tempo: la ciclicità stagionale del calendario, la circolarità dell’orologio. Inoltre spesso ai giorni venivano abbinati colori, con una grande specificità di toni. Dunque persone diverse vedono il tempo nello spazio in modo diverso. Tra i nostri bambini teatranti, chi si avvicina di più ad una visione spazio-temporale del tempo è probabilmente Irene: il suo disegno, le onde viola intrecciate l’una con l’altra, non rappresenta concetti o figure, come il sole di Elia o il dinosauro di Sara; è quello che più si avvicina ad un vero e proprio schema. Inoltre ripetendo più volte il disegno ha riprodotto esattamente la stessa immagine.

La capacità di collocare il tempo nello spazio, comunque, non è una prerogativa delle persone spazio-temporali: nonostante il tempo non sia un concetto visivo, chiunque può crearsene un modello grafico. Esso è stato tracciato in molti modi differenti in svariate culture diverse. Per Hammond proprio questa capacità di visualizzazione temporale sarebbe alla base della creazione della percezione del tempo, oltre ad influenzare il linguaggio e a guidare i meccanismi dei viaggi mentali del tempo15.

Dunque tutti possiamo usare lo spazio per codificare il tempo ed è ciò che è stato fatto nel corso della storia dell’arte. Un esercizio semplice che mette in luce la percezione personale del tempo, è quello ideato da Thomas Cottle16: consiste nella richiesta di disegnare tre cerchi per rappresentare passato, presente e futuro17. Le possibilità sono svariate: chi li disegna uguali e in successione, chi di differenti grandezze, chi intrecciati e chi uno dentro l’altro18. Siamo tutti in grado di rappresentare il tempo graficamente se stimolati a farlo e abbiamo anche una personale cognizione di un modo «corretto» di vederlo; ciò sembra suggerire che fino ad un certo punto ognuno di noi sa associare il tempo allo spazio. La tesi della Hammond è che visualizzare il tempo nello spazio, anche in maniera parziale, aiuti a comprenderlo e gestirlo: immaginare passato e presente in relazione ai nostri corpi rende il concetto più semplice e quindi più facile controllarne la gestione nella quotidianità.


 

 

Dallo schema all’azione: le immagini che controllano il tempo


«La televisione19». Questa è l’agghiacciante risposta di Alice, cinque anni, alla domanda: «qual è per te una parola che rappresenta il tempo?». Ha ragione, oggi per molte famiglie il susseguirsi dei vari programmi televisivi ha totalmente sostituito il risuonare del campanile cittadino nello scandire i tempi della giornata. Espressioni come «pranziamo all’ora del telegiornale», sono già in uso.

Lo schema personale del tempo è fortemente connesso a fattori culturali. Per esempio si prenda in considerazione il dato secondo cui timesarebbe il termine più utilizzato nella lingua inglese, mentre nella tribù amazzonica degli Amondawa, questa parola neanche esiste, così come non esistono concetti come meseo annoné tantomeno orologi o un calendario comune20. Ogni cultura sviluppa idee condivise su quale sia una tempificazione appropriata, esattamente come in ambito artistico si formano norme e stili. «Descrivere un insieme di regole estetiche in modo completo significa in realtà descrivere la cultura di un periodo21», scrive infatti Wittgenstein. E lo stesso vale per le rappresentazioni grafiche del tempo che stanno alla base di quelle norme estetiche: come in campo artistico si formano convenzioni prospettiche, così in una comunità si crea un arabesco di abitudini su cui si intesse la vita sociale. Distruggere queste abitudini può avere conseguenze destabilizzanti, tanto sull’individuo, quanto sulla collettività. Non a caso nella Prigione di Guantanámo usanza era rendere imprevedibili gli orari dei pasti ed evitare ogni stabilizzante routine alla quale appigliarsi22; mentre nell’alto medioevo i monaci benedettini abbracciarono ogni forma di prevedibilità, come aiuto nella condotta di una vita pia: suonavano le campane a intervalli fissi e svolgevano compiti regolari.

Per Zimbardo noi esseri umani siamo «anacronismi viventi»: il mondo è profondamente cambiato negli ultimi centocinquant’anni, mentre la fisiologia umana impiega milioni di anni per evolversi; il nostro corpo è stato progettato per avere successo nel passato, è «un’antiquata macchina biologica che si è evoluta in risposta a un mondo che non esiste più». La velocità di elaborazione dei computer raddoppia all’incirca ogni ventiquattro mesi, invece nell’uomo l’elaborazione dell’informazione è rimasta sostanzialmente la stessa di centocinquanta anni fa23.

Scriveva nel 1931 Paul Valery: «Il futuro è come il resto: non è più quello di una volta24». Le nostre abitudini più radicate, le nostre leggi, il nostro linguaggio, sono nati in risposta a un tempo «che ammetteva lunghe durate, che si fondava e ragionava su un passato immenso, e aveva di fronte un avvenire misurato per generazioni. La stessa cosa avviene per i nostri rapporti con lo spazio. I nostri codici, le nostre ambizioni, la nostra politica, sono ispirati da nozioni fortemente locali, proprie di un uomo profondamente stanziale. […] Durata e continuità sono ancora alla base delle nostre istituzioni25». Ancora una volta, vediamo come tempo e spazio agiscano in parallelo.

Secondo l’economia classica quanto più una risorsa è rara e quanti più sono i modi di sfruttarla, tanto maggiore è il suo valore. L’oro non ha un valore intrinseco. La maggior parte dei beni di cui possiamo entrare in possesso sono sostituibili. Non è così per il tempo: passa, e non torna più. «Spesso spendiamo il denaro più saggiamente di come spendiamo il tempo», dice Zimbardo. Il tempo non si può risparmiare26, scorre comunque. Tuttavia per Zimbardo possiamo controllare, almeno in parte, i sistemi di riferimento alla base della nostra concezione del tempo, proprio a partire dalla comprensione della propria prospettiva temporale. Con questa espressione si intende:« il processo attraverso il quale il flusso ininterrotto del vivere si organizza in categorie temporali che contribuiscono a conferire ordine, coerenze e significato alla vita27». Un'altra definizione28è quella di Paul Fraisse: «ogni nostra azione ha luogo in un orizzonte temporale e dipende dalla prospettiva temporale che abbiamo nel momento in cui l’azione ha luogo».

Nella quotidianità eseguiamo continui calcoli utilizzando insieme velocità, tempo e distanza, basti pensare alla complessità del gesto di afferrare una palla al volo; tuttavia la sovrapposizione tra spazio e tempo nella nostra mente può creare anche confusione, per esempio quando si è portati a pensare che più grandevoglia dire sempre più veloce. «Può darsi - scrive Hammond - che la nostra struttura mentale valuti la grandezza in generale più che il tempo in particolare». E questo sembrerebbe suffragato anche dal fatto che sempre più studi di neuroscienze attestano come ci siano diverse zone del cervello contemporaneamente implicate nella percezione temporale, alcune delle quali sono coinvolte anche nella misurazione di grandezze spaziali29.

Comunque, avere la possibilità di costruirsi schemi mentali del tempo risulta estremamente utile, se non fondamentale, per quanto riguarda diversi aspetti della vita umana. Per Hammond è proprio grazie a questa capacità che abbiamo la potenzialità di effettuare viaggi mentali nel passato e nel futuro, ripercorrendo eventi o facendo programmi. Inoltre la «visione illustrata del tempo » è utile anche per memorizzare date o ricordare fatti anche non associati al tempo ( come formule matematiche). Per esempio il campione di memoria Ed Cook ricorre in modo voluto e calcolato a rappresentazioni visive del tempo, creando impalcaturementali a cui affidare i fatti da ricordare: secondo il suo metodo, il lunedì potrebbe essere un’automobile e ogni ora coincidere con una sua parte meccanica in cui collocare gli appuntamenti del giorno. Questo è un metodo utilizzabile da chiunque, ma le persone dotate di visualizzazione spazio-temporale hanno un vantaggio evidente: l’impalcatura è già lì30.


Conclusione. Come pesci immersi nell’acqua


Allora, come si disegna il tempo? Alice, Matteo, Luca, Sara, Ilaria hanno trovato la loro risposta e anche noi abbiamo qui raccolto una serie di risposte a questa complicata domanda.

Abbiamo appurato che pensarlo a prescindere dallo spazio è impossibile in quanto uno schema visuale del tempo è non solo presente in ciascuno di noi ma anche necessario tanto ad operazioni pratiche come afferrare un oggetto quanto ad operazioni cognitive come fare progetti o ricordare un evento. Inoltre, l’immagineche abbiamo del tempo è alla base anche delle interazioni sociali, dal parlare al gestire gli orari condivisi di una comunità. Dunque il tempo si può disegnare, anzi, non può fare a meno di essere disegnato.

Proprio come i bimbi, abbiamo cercato di dare risposte pratiche, mostrando e, per l’appunto, visualizzando. Riformulare la domanda «che cos’è il tempo?» trasformandola in «come si disegna?» e di conseguenza in «come lo percepisco - come lo vedo io?» si è rivelata una strategia interessante: in questo modo una domanda filosofica generale, tanto antica quanto ostica, viene calata nell’universo di senso individuale, in modo diretto e concreto, offrendo la possibilità di maturare una maggior conoscenza di noi stessi.

Dopotutto, «il tempo è l’ambientein cui viviamo, come i pesci possono non sapere nulla dell’acqua in cui nuotano, così generalmente siamo ignari dell’incessante flusso temporale in cui siamo immersi31». E allora non rimane che imparare a nuotare il meglio possibile, imparare a muoversi nel tempo con consapevolezza.





1 Cfr. Agostino, Confessioni, XI, 14.

2 Cfr. Arist. Ph. IV 10, 217b32-218a3.

3 Cfr. HAMMOND 2013. L’esempio di Hammond presenta una riunione invece di un esame ma riportiamo qui questa versione per maggior risonanza emotiva.

4 Cfr. Ibid., p. 9.

5 BONCINELLI 2013, p. 117.

6 Il tempo di reazione semplice a uno stimolo luminoso è pari a 250 millisecondi, dunque viviamo 250 millisecondi nel passato, che è quanto ci occorre a registrare gli eventi intorno a noi. In questo un essere umano è circa 750 volte più lento di un computer. Cfr. ZIMBARDO 2005.

7 Cfr. BONCINELLI 2012, p. 120.

8 Ibid., p. 109.

9 ZIMBARDO 2005, p.16.

10 Per approfondire gli aspetti relativi alle illusioni del tempo cfr. HAMMOND 2013, cap. I: Le illusioni del tempo.

11 HAMMOND 2013, p. 11.

12 Ibid., p.98.

13 Anche Piaget arrivò alla conclusione che i bambini, nei primi anni di vita, faticano a distinguere tra dimensione in rapporto allo spazio e dimensione in rapporto al tempo.

14HAMMOND 2013., p. 96.

15 Cfr. Ibid., p.97.

16 Cfr. Ibid., p. 118.

17 Lera Boroditsky ripropone l’esperimento chiedendo di indicare un punto nello spazio che rappresentasse l’oggi e di collocare, di conseguenza, passato e futuro. Questa versione ha il vantaggio della tridimensionalità. Cfr. BORODITSKY 2008.

18 Un altro esercizio simile, sempre proposto da Cook, è quello di disegnare la linea del tempo: alcuni la tracciano in modo tale che la loro vita ne riveste la maggior parte, rivelando una visione egocentrica, altri vedono la propria vita come un breve segmento di una linea più lunga, rivelando una percezione storiocentrica. Cfr. HAMMOND 2013, p. 120.

Cottle ipotizzò che la visione storio-centrica conducesse ad un orientamento attributivo, quello proprio di chi ritiene che sia il passato a influenzare l’esistenza individuale, piuttosto che gli sforzi personali.

19 Risposta di Alice, cinque anni, alla richiesta di dire una parola che per lei rappresentasse il tempo.

20 Cfr. HAMMOND 2013, p. 11.

21 WITTEGENSTEIN 1996, p. 65.

22 Cfr. HAMMOND 2013, p. 20.

23 Cfr. ZIMBARDO 2005, p. 30.

24 Cfr. VALERY 1995, p. 187. “Non siamo più in grado di immaginarlo con una qualche fiducia nelle nostre induzioni. Abbiamo perduto gli strumenti tradizionali per pensarci e prevederlo”.

25 VALERY 1995, p. 188.

26 Ci hanno provato gli adulti protagonisti del romanzo Momo, di Michael Ende, per poi scoprire che tutto quello che avevano affidato alla «Banca del Tempo» non era tempo risparmiato, ma tempo perduto per sempre.

27 ZIMBARDO 1995, p. 50.

28 Un’ulteriore definizione si deve a William James: «la prospettiva temporale è la conoscenza di altre parti della corrente di pensiero, passate o future, vicine o remote; tale conoscenza non può mai essere separata dalla conoscenza di ciò che è presente».

29 Cfr. BONCINELLI 2013.

30 Cfr. HAMMOND 2013, P. 129.

 

31 ZIMBARDO 2005, p. 9.